NUOVO REFERENDUM ABROGATIVO DELLA L.194 : ABORTO E FEMMINISMO
Anzitutto , ringrazio con soddisfazione le oltre 200 persone che hanno già espresso la loro adesione all’iniziativa attraverso il sito www.no194.org e questa rivista , che mi ospita dal numero pubblicato il 31-12-2009 , per l’importante contributo che sta dando a questa partecipazione , offrendomi uno spazio mensile in un contesto di livello qualitativo veramente rilevante , che giustifica la crescita di contatti che viene costantemente riscontrata dalla redazione .
Una soddisfazione che penso possa essere comprensibile se si consideri che , dopo la pubblicazione del mio articolo su www.ladestrabergamo.it il 18-7-2009 , allegato al pezzo del citato numero del 31-12-2009 , e prima dell’apertura del menzionato sito www.no194.org , avvenuta il 28-9-2009 con la pubblicazione a mia firma del manifesto originario dell’operazione ( allegato in calce al pezzo riportato sul numero di “ Riscossa cristiana “ del 31-1-2010 ) , per un paio di mesi ho in pratica predicato nel deserto , raccogliendo quasi solo silenzi e diffidenze .
Dopo aver trattato nei numeri scorsi la questione sotto il profilo costituzionale , giuridico , politico e del rapporto tra norma giuridica e princìpi religiosi , analizziamo la relazione tra il fenomeno abortivo e il pensiero femminista , che , anche se non più presente sotto forma di consistente movimento come nei decenni scorsi , è assai vivo sul piano sostanziale .
Non esiste settore del mondo lavorativo nel quale ancor oggi la donna non reclami un maggior spazio e non lamenti di essere vittima di discriminazioni , talvolta spregevoli .
E ciò nonostante i diversi interventi a sostegno della lavoratrice effettuati in questi anni , anche di natura legislativa , tra cui uno di particolare rilievo risalente già al 1977 ( la l. 903, diretta a tutelare, per l’appunto , la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro ) .
Pure nel privilegiato ambito politico è di questi anni la creazione delle quote rosa ( finalizzate a garantire un numero minimo di candidate e , in prospettiva , di elette ) nonché di un apposito dicastero delle pari opportunità .
Tutte queste rivendicazioni sembrano richiamarsi al più generale princìpio di tutela del soggetto debole , che cerca di emergere in un mondo , quello del lavoro , che viene visto come costruito su misura per le esigenze maschili e che , di fatto , è stato nei secoli frequentato per lo più da appartenenti a tale genere , anche in considerazione della delega conferita all’altra parte del cielo delle delicate incombenze familiari .
E , sempre di fatto , i periodi di crisi economica colpiscono percentualmente in misura più consistente la donna , quale anello debole della catena lavorativa .
Ora il pensiero femminista è tradizionalmente il più sensibile agli orientamenti che stanno alla base dell’attuale normativa in materia di aborto , tradotta nella l. 194 .
Tale legge rappresenterebbe una tutela della maternità consapevole , in quanto il figlio nasce solo se la donna lo vuole veramente .
Il concepito , quindi , viene oggettivamente visto come bene di proprietà esclusiva della donna .
Ora , tale definizione è meritevole di due censure di carattere generale .
1 ) Anzitutto il concepito è il frutto dell’azione di due soggetti .
Qualcuno potrebbe ritenere tale asserzione di fondo , chiaramente indiscutibile sul piano naturalistico , come anacronistica sul piano culturale , a fronte delle “ conquiste “ conseguite dalla donna dagli anni sessanta ad oggi .
Conquiste che , in materia abortiva , si traducono nell’esclusività della decisione sulla nascita del concepito affermata dall’art. 5 della 194 , in quanto il potenziale padre viene coinvolto solo se la donna lo ritiene opportuno .
Quindi , una moglie ad oggi può decidere di abortire senza che il marito abbia neppure il diritto di essere informato della sua decisione .
In realtà , rispetto agli anni sessanta sono riscontrabili significativi segnali di riequilibrio nella posizione dei genitori e di rivalutazione del ruolo del padre .
La nuova riforma del diritto di famiglia , consacrata nella l. 54 del 2006 , in particolare , è ispirata al principio della bigenitorialità .
Principio che , in concreto , si traduce nell’affido generalmente condiviso del figlio di coniugi separati , a superamento del precedente quasi regolare affidamento alla madre , che di fatto riduceva e condizionava drasticamente i diritti del padre , a partire da quello di visita e di partecipazione alle decisioni riguardanti il minore .
Ecco che l’affidamento esclusivo del minore ad un solo genitore viene disposto solo allorché esso coincida con l’interesse del figlio stesso , il che presuppone la sussistenza di elementi di tale gravità da escludere l’idoneità genitoriale di uno dei consorti , quali uno stato di tossicodipendenza o di alcoldipendenza o di detenzione , una malattia psichiatrica , condotte pericolose per l’incolumità del minore , quali maltrattamenti, abusi sessuali etc.
Per quanto sul piano professionale abbia riscontrato casisticamente un senso di responsabilità non di rado superiore da parte delle mogli separate rispetto al coniuge , credo che questo nuovo orientamento sia condivisibile , proprio nella consapevolezza della superiore esigenza del minore a scontare conseguenze il più possibile contenute dalla separazione dei genitori , di regola vissuta in modo comprensibilmente traumatico , ed a non subire il ridimensionamento della figura paterna .
Ora , non si riesce davvero a comprendere come il ruolo di tale figura , valorizzato dopo la nascita del figlio , debba permanere nullo nella fase del concepimento .
Assistiamo , in realtà , ad un progressivo superamento delle logiche perverse e prevaricatrici figlie di un’epoca ( quella sessantottina ) sempre più rigettata dalla società contemporanea , come si può riscontrare nel campi più disparati , dalla scuola al pubblico impiego .
Come sottolineato , in base ad un sondaggio Eurispes del 2006 il 78% degli italiani ( il che significa anche la maggioranza del mondo femminile ) non condivide il riconoscimento alla donna di un’esclusività nella decisione abortiva , in contrasto con il citato art. 5 della L. 194 .
Per quanto tempo il legislatore ignorerà questo mutamento di orientamento nella coscienza collettiva ?
2 ) La seconda censura al princìpio secondo cui il concepito è un bene di proprietà esclusiva della donna , è rappresentata dal fatto che un concepito non è un bene , ma un essere umano .
Ciascuno di noi è nato a seguito della ricorrenza di due condizioni : il concepimento e l’assenza di un evento letale durante lo stesso , tra cui , casisticamente , quello più ricorrente è , per l’appunto , l’interruzione volontaria di gravidanza .
Stando così le cose , è assai arduo dissociare la soppressione di un concepito dalla soppressione di un essere umano . Ecco che , e ritorno alla riflessione fatta in apertura , non è la donna il soggetto più debole , bensì il concepito . Anzi , per rendermi comprensibile a tutte le femministe , comprese quelle che forse hanno qualche difficoltà a considerare il maschio realmente un essere umano , non è la donna il soggetto più debole , bensì la concepita , figura ragionevolmente maggioritaria rispetto al concepito di sesso maschile , se è vero che le nate sono in numero superiore rispetto ai nati .
Ecco che l’unica certa vera pari opportunità conseguita dal mondo femminile rispetto a quello maschile sta nel non avere alcun diritto di nascita , prodromico rispetto a qualsiasi altro diritto .
Nel corso di una puntata di “ Invasioni barbariche “ , trasmessa alla vigilia delle elezioni politiche del 2008 , Daria Bignardi urlò stizzita a Giuliano Ferrara : “ Le donne abortiscono perché vogliono lavorare !! “ .
Una donna , quindi , per raggiungere la parità con l’uomo sul piano lavorativo ( come non ci fossero leggi , sia pur perfettibili , vigenti nel nostro paese a tutela della madre lavoratrice ) sopprimerebbe legittimamente ( e non solo legalmente ) un’altra femmina , impedendole di usufruire di qualsiasi parità , anzi di tutto .
Al riguardo , sempre in base al sondaggio sopra citato , il 73,7% dei nostri connazionali ( e anche la maggioranza delle appartenenti al gentil sesso ) manifesta il proprio disaccordo a che possa essere ritenuta legale la soppressione di un concepito per mere ragioni economiche , sociali o familiari ( in contrasto con l’art. 4 della l. 194 , che disciplina in tali termini i primi 90 giorni di gravidanza ) .
Mi domando per la seconda volta : per quanto tempo il legislatore ignorerà questo mutamento di orientamento nella coscienza collettiva ?
Sicuramente ancora a lungo , probabilmente per sempre , in assenza di una risoluta iniziativa referendaria .
Come già rilevato , l’azione abrogativa referendaria è l’unica praticabile per travolgere la legislazione abortista italiana ( dalla quale discende la liceità dell’interruzione volontaria di gravidanza nelle sue diverse forme , chirurgica o farmaceutica ) alla luce delle caratteristiche del nostro ordinamento .
Ciò considerati il pericolo ( come visto sopravvalutato ) di impopolarità che presentano interventi legislativi anche solo restrittivi in materia e la mancata previsione da parte dei costituenti e dei legislatori successivi :
a ) di un diritto alla nascita , che avrebbe dovuto essere inserito tra quelli inviolabili di cui all’art. 2 della Carta e che avrebbe legittimato e legittimerebbe un intervento della Corte Costituzionale avverso la 194 e leggi analoghe ;
b ) di un diritto di veto ( vincolante e ripetibile , a differenza della facoltà generale riconosciuta dall’art. 74 Cost. ) da parte del Presidente della Repubblica nei confronti di leggi contrarie ai diritti dei non elettori , soggetti dal cui consenso i Parlamentari non dipendono , ed ispirate agli interessi di comodo degli elettori .
Di qui la necessità dell’iniziativa referendaria che ho inteso promuovere , con l’auspicio che essa possa realizzare una vera , radicale rivoluzione femminista nel nostro paese .
Una rivoluzione che si traduca nel consentire alla femmina di nascere , scongiurandole di essere legalmente vittima della decisione di un altro essere umano , senza che lo Stato si disinteressi in modo pilatesco della propria sorte , a fronte di un sopruso oggettivamente assoluto , e, in quanto tale, oggettivamente non superabile come intensità da qualunque altro sopruso essa possa subire in vita , compresa la violenza sessuale .
Una rivoluzione , ancora , diretta a precludere alla donna , magari condizionata da un contingente stato di fragilità , non una gioia ma quello che viene frequentemente definito , al contrario , come il trauma di abortire ( rendendolo non corollario di un atto di emancipazione femminile , ma illegale ) ed a sua figlia , di conseguenza , l’ulteriore trauma , unico ma letale , di essere soppressa .
Ed una rivoluzione , infine , da definirsi femminista anche se non compiuta ai danni del maschio ( a cui si estenderebbe tale diritto ) , in quanto realizzata comunque a favore della femmina e finalizzata ad assicurarle il bene più prezioso : la vita .
Pietro Guerini
(articolo apparso su www.riscossacristiana.it il 30 aprile 2010)