NUOVO REFERENDUM ABROGATIVO DELLA L. 194 : ABORTO ED EUTANASIA

S’intende per eutanasia la morte provocata , in forma attiva ( attraverso la somministrazione di farmaci ) o passiva ( mediante l’interruzione o l’omissione di un trattamento medico necessario per la sopravvivenza ) , volontariamente ( allorché segue ad una richiesta esplicita dell’interessato capace di intendere e di volere o mediante testamento biologico ) o non volontariamente ( quando la decisione viene assunta da soggetto espressamente designato a decidere per conto di un individuo in stato di incoscienza o incapacità mentale tale da precludere una scelta consapevole ) . 

Sotto il profilo legislativo nazionale , non possono considerarsi eutanasia né la terapia del dolore (ravvisabile nell’ipotesi che il medico intenda alleviare le sofferenze del paziente mediante la somministrazione di analgesici ) , né il rifiuto dell’accanimento terapeutico ( che si ha allorché il medico , nei casi di morte ritenuta imminente e inevitabile , interrompe o rifiuta cure ritenute gravose o inutili ) , né la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte cerebrale .

Premetto doverosamente che la trattazione del tema impone un enorme rispetto nei confronti dei drammi vissuti dagli interessati e dai rispettivi parenti .   

Personalmente , dal punto di vista morale , valuto negativamente ogni forma di eutanasia , attiva e passiva , volontaria e non , ancorché esse vadano distinte nettamente sotto il profilo giuridico .

Quanto all’eutanasia passiva e volontaria , essa è equiparabile ad ogni effetto al suicidio .

Suicidio che , con riferimento al diretto interessato , non è punibile giuridicamente nell’unica ipotesi in cui ciò astrattamente potrebbe avvenire , vale a dire nel caso del tentativo ( ovviamente , non si può punire un suicida ) .

In tale tipo di eutanasia vengono impropriamente fatti rientrare casi in cui il paziente non sia competente sul piano cognitivo per poter prendere la decisione o in cui egli non abbia un’adeguata comprensione delle opzioni e delle loro conseguenze .

A favore dell’eutanasia passiva e volontaria si sostiene generalmente che la libertà del singolo deve comprendere la disposizione della propria vita , a cui nessuno potrebbe sostituirsi . 

Conformemente a tale principio , l’art. 32 della Costituzione sottolinea come “ nessuno possa essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge “ , ciò anche se è indispensabile per la sua sopravvivenza . 

Circa l’eutanasia non volontaria e/o attiva , è evidente la sua equiparabilità all’omicidio .

Figura nella quale , anzitutto , è già riconducibile il suicidio assistito , che si ha allorché al suicida vengano forniti i mezzi e le competenze necessari per porre in essere il gesto estremo , condotta che integra il reato di istigazione o aiuto al suicidio , previsto e punito dall’art. 580 c.p ( che implica una pena edittale dai 5 ai 12 anni ) .

Il nostro ordinamento prevede , poi , la specifica e più grave incriminazione per l’omicidio del consenziente ( di cui all’art. 579 c.p. , punito con una pena edittale dai 6 ai 15 anni ) , reato minore rispetto all’omicidio doloso puro e semplice ( art. 575 c.p. ) .

Delitto , questo , del quale , peraltro , risponde colui che abbia commesso il fatto contro un minore o un incapace o un soggetto il cui consenso sia stato estorto con inganno , violenza , minaccia o suggestione .   

Ritengo che un’interpretazione restrittiva della equiparabilità citata tra eutanasia non volontaria e/o attiva e omicidio non sia giustificabile .

Credo , anche in conformità della versione originale del giuramento di Ippocrate , che occorra mettere in primo piano la vita del paziente e , quindi , anche il ricorso alla ragionevole sperimentazione di nuovi trattamenti ed a cure palliative .

Giustificabile può essere l’uso di analgesici , per trattare il dolore , anche qualora comportino , come effetto secondario e non desiderato , l’accorciamento della vita del paziente e la sospensione , dietro richiesta del paziente , di procedure mediche che risultino onerose , pericolose , straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi , vale a dire che configurino accanimento terapeutico .  Una posizione , questa , confermata peraltro dai paragrafi 2277 , 2278 , 2279 del Catechismo .

Ma , in ogni caso , le cure ordinariamente dovute all’ammalato , come l’idratazione e la nutrizione artificiale , non possono essere sospese qualora si preveda come conseguenza la morte del paziente per fame e per sete .

Il che configura una vera e propria eutanasia per omissione .

Come noto , a seguito della richiesta di Eluana Englaro di sospendere ogni terapia , un decreto della Corte d’appello di Milano , confermato in Cassazione , ha stabilito l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione , impartendo disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell’attuazione dell’interruzione del trattamento .

Tra queste , oltre la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali , anche la somministrazione di sedativi e antiepilettici .  

Il caso Englaro deve ritenersi un caso scolastico di come la decisione circa l’esistenza in vita di un essere umano possa essere incredibilmente delegata a terzi .

In assenza , tra l’altro , di scritti di provenienza della povera Eluana , si è attribuito carattere legittimo alla decisione del padre dell’interessata , eletto non a caso a “ padre ideale “ dall’attuale Presidente della Camera , massimo esponente dell’ateismo militante nazionale .

Tale princìpio è contrario alla sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale ( proclamata sino ad un decennio fa dallo stesso Fini , allora già cinquantenne ) che costituisce , a mio avviso , un dogma assoluto ed il caposaldo di un paese realmente civile .

Dogma del quale l’attuale normativa in materia di aborto rappresenta un’analoga , gravissima violazione .

Analogamente , infatti , tale normativa delega ad un terzo il potere di decidere sulla vita di un altro individuo .

Di individuo si tratta , se è vero che ciascuno di noi esiste per la ricorrenza di due condizioni , il concepimento e l’assenza di eventi interruttivi della gravidanza , tra i quali l’interruzione volontaria della stessa rappresenta il caso nettamente più frequente sul piano casistico .      

Il terzo , nella fattispecie , è rappresentato dalla madre , alla quale viene attribuito il potere di decidere della vita del proprio figlio ( nella maggior parte dei casi , della propria figlia ) come se questi non fosse una persona , ma un oggetto di sua esclusiva proprietà .

A tale pacifica conclusione si giunge allorché si consideri che l’art. 4 della L. 194/78 consente alla donna di interrompere la gravidanza nei primi 90 giorni anche per mere ragioni economiche , morali e sociali e che l’articolo successivo attribuisce alla stessa il potere di coinvolgere nella sua decisione il padre solo se essa lo voglia , anche se coniugata .  

Una deriva che addirittura si rischia di estendere , attraverso interventi legislativi che potrebbero introdurre forme più o meno esplicite di eutanasia , nell’ambito di una progressiva relativizzazione del valore della vita , e che anzi va stroncata in radice , proprio nell’ottica di un recupero di tale valore ed in considerazione delle aberranti prospettive che tale via potrebbe implicare , giustificando la soppressione di ulteriori individui ritenuti non meritevoli di tutela .

Lo stessa normativa in materia di testamento biologico , per quanto ispirata a logiche anche condivisibili , s’incentra su una dichiarazione resa da un soggetto spesso in piena salute , che nulla può prevedere in ordine a come reagirebbe qualora la sua vita dovesse essere realmente in pericolo , tanto più se inconsapevole dei rimedi medici applicabili , a maggior ragione se inimmaginabili (perché intervenuti successivamente) al momento di quella (magari datata e mai aggiornata) dichiarazione .

Proprio l’esigenza di sottrarre la vita a decisioni in suo spregio che potessero essere assunte legalmente da terzi e di porre fine all’esistenza di un categoria giuridica di individui ritenuti non meritevoli di tutela ha ispirato la nuova iniziativa referendaria contro la 194 .

Iniziativa che ho introdotto il 18-7-2009 con la pubblicazione su www.ladestrabergamo.it dell’articolo che ho poi recepito nella prima delle tre parti del manifesto originario della stessa (riportato sul sito www.no194.org il 28-9-2009 , giorno della sua costituzione , ed allegato nel suo file storico al mio pezzo pubblicato nel numero del 31-1-2010 di questa rivista) .

Un’iniziativa che partiva dalla consapevolezza che la via abrogativa referendaria fosse ( come è ) l’unica praticabile per travolgere la legislazione abortista italiana , alla luce delle caratteristiche del nostro ordinamento .

Ciò considerati il pericolo ( in realtà sopravvalutato ) di impopolarità che presentano nuovi interventi legislativi anche solo restrittivi in materia agli occhi dei nostri parlamentari e la mancata previsione da parte dei costituenti e dei legislatori successivi :

a ) di un diritto alla nascita , che avrebbe dovuto essere inserito tra quelli inviolabili di cui all’art. 2 della Carta e che avrebbe legittimato e legittimerebbe un intervento della Corte Costituzionale avverso la 194 e leggi analoghe ;

b ) di un diritto di veto ( vincolante e ripetibile , a differenza della facoltà generale riconosciuta dall’art. 74 Cost. ) da parte del Presidente della Repubblica nei confronti di leggi contrarie ai diritti dei non elettori , soggetti dal cui consenso i Parlamentari non dipendono , ed ispirate agli interessi di comodo degli elettori .

Azione che trova oggi i presupposti per essere esercitata positivamente , stante , anzitutto , il mutato quadro politico rispetto alla lontana legislatura che partorì quella normativa , con i partiti di sinistra ( suoi accaniti sostenitori ) crollati da quasi il 50% al 32 % , in base ai dati dell’ultima consultazione nazionale generale ( quella rappresentata dalle elezioni europee del 2009 ) .

Una prospettiva rafforzata dalla pacifica e progressiva emancipazione dell’opinione pubblica dalle indicazioni delle forze politiche , assai considerate un trentennio fa .  

E non è un caso che in base ad un sondaggio Eurispes del 2006 :

-il 73,7% degli italiani non condivide che possa essere legalmente consentita l’interruzione volontaria della gravidanza nei primi 90 giorni per mere ragioni economiche , morali e sociali , come dispone il citato art. 4 della 194 ;

-il 78% dei nostri connazionali esprime il proprio dissenso al potere esclusivo in ordine alla decisione abortiva che l’art. 5 della legge conferisce alla donna , anche se coniugata .

La nuova operazione referendaria , dunque , va perseguita senz’altro con la coscienza delle difficoltà che discendono dall’ostilità ad essa della quasi totalità del sistema partitico , che si riflette nell’ambito parlamentare , ma anche con la consapevolezza delle potenzialità in termini di consenso di base di cui essa può usufruire .  

L’obiettivo deve inequivocabilmente essere quello di ottenere l’abrogazione di quella disciplina .

Ma tra i risultati intermedi , va sicuramente configurato il superamento del falso dibattito che ha caratterizzato questo trentennio , svolto tra coloro che difendono il diritto di scelta della madre e coloro che , incoerentemente , denunciano il fenomeno abortivo ( con finalità per lo più elettoralistiche ) , ma si oppongono ad una anche semplice revisione della 194 .

Quest’ultimo fronte rappresenta così un deleterio e fuorviante punto di riferimento per le fasce dell’opinione pubblica potenzialmente sensibili ad una politica abrogazionista , un punto di riferimento che produce effetti ben più dannosi rispetto a quelli riconducibili all’orientamento di segno opposto ( distinguibile nella sua dichiarata avversità ad un patrimonio di valori ispirato alla difesa della vita ) , in quanto induce la collettività tutta ad accettare lo “ status quo “ , a considerare l’attuale normativa come ineluttabile , definitiva ed intoccabile , più della Costituzione e dei comandamenti ( che pur per i cattolici dovrebbero avere un qualche significato ) . 

Occorre sostituire in tale puramente formale dibattito questo secondo presunto contraddittore con una reale controparte , dotata di un progetto concreto , serio e coerente con lo sdegno che esprime verso un fenomeno tragico come quello in oggetto .    

Il tutto in spregio all’inconcludenza ed all’enunciazione di tesi fine a se stessa , nella coscienza e convinzione della non negoziabilità della vita di un essere umano .   

Al di là del valore negativo che moralmente assume il suicidio in tutte le sue forme , che ciascuno giuridicamente possa decidere a riguardo solo della propria vita e che a ciascuno , per l’effetto , venga negato il diritto di poter decidere su quella altrui .

 

Avv. Pietro Guerini

(articolo apparso su www.riscossacristiana.it il 31 Ottobre 2010)

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